«Appena ho detto addio al lavoro, è arrivato il vuoto»: come l’età che avanza rivela la solitudine nascosta dietro una vita di impegni.

twojacena.pl 3 godzin temu

«Appena andata in pensione, ho scoperto il vuoto»: come letà svela la solitudine accumulata negli anni.
Ho sessantanni. E per la prima volta sento di non esistere più: non per i miei figli, non per i nipoti, né per lex marito o il resto del mondo.

Fisicamente sono presente. Cammino per le vie di Roma, vado in farmacia, compro il pane al forno, spazzo il terrazzino del mio appartamento. Ma dentro cè un baratro che si allarga ogni mattina, ora che non devo più correre in ufficio. Ora che nessuno mi chiede: «Mamma, come stai?».

Vivo sola da anni. I miei figli, ormai adulti, hanno le loro famiglie e vivono lontano: mio figlio a Milano, mia figlia a Firenze. I nipoti crescono senza che io li conosca davvero. Non li vedo uscire per scuola, non lavoro a maglia calzini per loro, non racconto fiabe prima di dormire. Non mi hanno mai invitata. Nemmeno una volta.

Un giorno ho chiesto a mia figlia:
Perché non posso venire? Potrei darti una mano con i bambini…
Lei ha sospirato, rispondendo con tono pacato ma distante:
Mamma, lo sai… mio marito non sopporta le tue intrusioni. E hai quel modo di fare…

Una coltellata al cuore. Mi sono sentita umiliata, ferita. Non volevo impormi, solo essere vicina. Ma il messaggio era chiaro: «Non sei desiderata qui». Né dai figli, né dai nipoti. Sono stata cancellata. Persino lex marito, che abita a pochi chilometri, non ha mai tempo. A Natale ricevo un sms formale, come un obbligo.

Quando ho lasciato il lavoro, pensavo: finalmente libertà. Imparerò a dipingere, farò lunghe passeggiate al Gianicolo, mi iscriverò a quel corso di ceramica. Invece dellentusiasmo è arrivata langoscia.

Prima sintomi strani: cuore in gola, capogiri, terrore di morire. Medici, esami, elettrocardiogrammi… tutto normale. Finché uno specialista mi ha detto:
Signora Bianchi, è tutto emotivo. Deve parlare con qualcuno, uscire. È troppo isolata.

Peggio di una malattia. Non esistono pillole per la solitudine.

A volte vado al Conad solo per scambiare due parole con la cassiera. Altre mi siedo su una panchina a Villa Borghese, fingendo di leggere, sperando che qualcuno mi rivolga la parola. Ma tutti sono di corsa. Hanno una destinazione. Io… semplicemente sono. Respira. Ricordo.

Dove ho sbagliato? Perché mi hanno abbandonata? Li ho cresciuti da sola. Suo padre se nè andato presto. Lavoravo giorno e notte, cucinavo, stiravo le loro uniformi scolastiche, li accudivo quando stavano male. Niente serate, niente sfizi. Ho dato tutto.

E ora… sono un ingombro.

Ero troppo rigida? Troppo controllante? Volevo solo il meglio. Che diventassero persone perbene. Li tenevo lontani dai ragazzacci. E alla fine… eccomi qui.

Non cerco compassione. Mi chiedo solo: sono stata una madre così terribile? O è questo il ritmo della vita moderna mutui, corsi pomeridiani, corse senza sosta dove non cè posto per una donna anziana?

Qualcuno mi suggerisce:
Trova un compagno. Iscriviti a Meetic.
Ma non ci riesco. Dopo tanti anni sola, non ho più la forza di aprirmi a uno sconosciuto. E la salute non è più quella.

Nemmeno lavorare posso. Almeno in ufficio cerano chiacchiere, risate. Ora solo silenzio. Un silenzio così denso che accendo la TV solo per sentire voci.

A volte penso: se sparissi, qualcuno lo noterebbe? Né i figli, né lex, né la vicina del piano di sopra. E questa idea mi gela il sangue.

Poi inspiro profondamente. Mi preparo un caffè in cucina e mi dico: forse domani sarà diverso. Forse squillerà il telefono. Arriverà una cartolina. Forse conto ancora qualcosa.

Finché cè speranza, resisterò.

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